Ufficio Stampa Diana Massarotto / studioriccio@fastwebnet. it

Il laboratorio L’Amorosa Visione — percorsi giovani, di incontro e di abbandono, nasce da un’idea di Angela Gregorini dell’Istituto di Ricerca Educativa delle Marche (IRRE) che mi ha proposto di realizzare un laboratorio con la collaborazione della Provincia di Macerata — Assessorato Formazione e Lavoro; laboratorio rivolto a studenti di scuola media superiore, di accademia, e di università.
L’obiettivo era quello di costruire un modulo formativo che fosse in grado di fornire agli studenti coinvolti nel progetto un’offerta formativa completa, cioè che gli permettesse di essere in grado di operare sul territorio attraverso la realizzazione di interviste “narrative” filmate che dovevano rappresentare la materia prima per costruire il racconto audiovisuale (film) L’Amorosa Visione. Lavoro che si è sviluppato tra il giugno 2006 e il marzo 2007 e che ha coinvolto oltre me e Angela Gregorini, Paolo Chiozzi docente di antropologia visuale, Marco Carosi, direttore della fotografia (uso della telecamera digitale e la fotografia cinematografica); i 16 studenti selezionati e coinvolti nel progetto di formazione sono stati organizzati in 4 troupe, coordinati da 7 tutor didattici.

Quali sono state le metodologie impiegate?

Il laboratorio L’Amorosa Visione si è svolto con un’iniziale lavoro di visione e discussione di alcuni miei film dove l’intervista narrativa, con l’uso del primo piano, rappresenta l’elemento strutturale (per es.: Partitura per volti e voce (1991), Come prima più di prima t’amerò(1995), Sei minuti all’alba (1998), A Proposito di sentimenti… (1999), Tempo Vero (2000), Volti, viaggio nel futuro d’Italia (2004), ecc.):
Il lavoro è proseguito invitando ogni allievo a mettersi di fronte alla telecamera e a rispondere ad una serie di domande in un’intervista filmata.
Interviste utili a far comprendere agli allievi la difficoltà di sapersi raccontare, di mettersi in gioco, di parlare di se stessi di fronte ad una telecamera.
Il materiale raccolto non selezionato, è talmente interessante, che ho in progetto di montarlo ed utilizzarlo in futuro.
Quello che è emerso con L’Amorosa Visione è il ritratto di una generazione che si racconta. In questo caso i protagonisti del film sono gli studenti che hanno intervistato i loro coetanei. Come in un gioco di specchi.

Lei tiene da sempre alla realtà dell’insegnamento dalla quale impara nuove conoscenze. In questo caso cosa ha appreso?

Il mio lavoro di docente di cinema è iniziato nel 1989 con la creazione a Torino della Scuola Video di Documentazione Sociale I Cammelli; ho proseguito questo percorso didattico con il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma (dal 1996 con il Corso:Cinema e realtà) e con la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa (Laboratorio di Regia Cinematografica, Corso di Laurea in “Cinema, Musica, Teatro” e “Cinema,Teatro, Produzione Multimediale”).
Elaborando le tecniche nella didattica dell’audiovisivo sul territorio, ho ottenuto grandi risultati con i Videomagazine realizzati all’interno del Bellaria Film Festival (edizioni dal 2002 al 2005) dagli studenti del Centro Sperimentale di Roma e da studenti di varie università italiane. L’esperienza si è ampliata con Vestiti di vita, realizzato a Terni (2004/2005) in un centro diurno psichiatrico con gli utenti e gli operatori, da cui è stato è stato tratto un libro che sarà presentato il 27 aprile nella città umbra. Così come la video installazione Tappati la bocca realizzato con gli allievi attori della Scuola del Teatro Stabile di Torino (2005/2006).
L’amorosa visione rappresenta per me una tappa importante di verifica di un metodo di lavoro, di un modo di insegnare a fare cinema. Un’esperienza per me pilota e non è detto che la possa ripetere a tempi brevi in un’altra parte d’Italia. Il lavoro con i giovani mi piace molto, mi piace insegnare, e cerco di dare tutto quello che mi è possibile per far apprendere agli studenti il valore dell’impegno e della serietà nello svolgimento dei propri compiti al fine di poter garantire quella qualità che può far distinguere e che può permettere un serio inserimento nel mondo del lavoro. Nel caso del laboratorio L’Amorosa Visione, l’obiettivo non è stato quello dell’inserimento professionale, ma quello di un’ampia e pratica sensibilizzazione sull’utilizzo del mezzo audiovisuale come strumento di comunicazione sociale di utilità pubblica.

Cosa ha imparato da questa esperienza che l’ha vista in qualità di coordinatore artistico anziché di regista?

Il mio lavoro di formatore è un po’ tutto: dal coordinatore artistico, al regista, al montatore, al direttore di produzione; al buono, al cattivo…
L’obbiettivo è quello di mettere in condizione le persone di potersi esprimere al meglio nello svolgimento dei compiti assegnati all’interno del laboratorio.
Si impara sempre, specialmente a migliorare il modulo formativo che spesso si deve confrontare con tempi di realizzazione molto brevi.
E poi c’è il lato umano dell’esperienza che è fondamentale e determinante; ogni volta si rinnova la gioia e la curiosità della ricerca per la rappresentazione del reale.

Quale reale realtà italiana a suo parere manifestano questi ragazzi?Le sembra che quella che emerge dal documento sia in contrapposizione con la realtà giovanile diffusa dai media e dalla politica?

Fin dal primo momento in cui questo progetto è stato concepito da me ed Angela Gregorini (I.R.R.E. Marche) l’obiettivo era quello di penetrare il più possibile nella realtà della condizione giovanile. Il riferimento “poetico” è stata la serie di 6 filmati che ho realizzato per RAITRE nel 2004 Volti, viaggio nel futuro d’Italia; entrambi volevamo, da una parte, offrire ad un gruppo di studenti un’opportunità di formazione innovativa, e dall’altra, documentare e raccontare con il linguaggio video-cinematografico i percorsi giovani di incontro e di abbandono.
Ne è emerso un ritratto sicuramente sorprendente, intenso, vivo; in controtendenza con i modelli di riferimento; il filmato ha tutte le possibilità per diventare uno strumento culturale adatto a stimolare il confronto tra i giovani e a contrastare alcuni stereotipi che etichettano e generalizzano i giovani, e sono quelli che fanno più male.
I giovani che ho incontrato nel mio lavoro di insegnante e attraverso i film che ho fatto, almeno quelli più recenti con giovani protagonisti, da “Sei minuti all’alba” (sulle stragi del sabato sera) alla serie per RAITRE “Volti, viaggio nel futuro d’Italia”, sono giovani che sono alla ricerca di un riferimento, hanno paura di sbagliare, e molte volte la scuola non gli ha dato quegli strumenti necessari per confrontarsi con il mondo della vita e del lavoro.
Sono attraversati da grandi passioni, ma anche da tanta spazzatura non biodegradabile. La loro famiglia è il riferimento più importante, di stabilità, di affetto, ma anche di conflitto e instabilità. Stanno cercando “il sogno”, il punto di riferimento, il maestro, ma molte volte non lo sanno e perdono tempo.